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copertina

Una leonessa in Senegal

In viaggio nel paese dei Teranga
Autore: Peppe Sessa
Pubblicato nel 2008
Pagine 240
ISBN 978-88-7371-377-7

 

Archivio

 

 

Il Libro

L’esperienza di viaggio rappresenta la traccia, il filo conduttore del libro. Zaino in spalla, spesso lontano dai circuiti turistici, esclusivamente sui mezzi di trasporto locali, cibo africano e sistemazioni spesso spartane, l’Autore percorre i centri principali e le regioni più remote, spingendosi verso nord nel Ferlo, all’interno, e a est fino ai confini col Mali e con la Guinea e a sud girovagando per la Casamance, bellissima e selvaggia, ma teatro di una guerra civile.
Villaggi rurali, distese di baobab, il fiume Senegal, la foresta rigogliosa, il mare, ma la ragione più intima del viaggio è rappresentata dall’incontro, il bisogno di familiarizzare con i propri simili, conoscerne le passioni, gli ideali e le abitudini. E poi le genti, le tradizioni, le aspettative, il senso di solidarietà e dell’amicizia, il concetto di tempo, le realtà animiste e ancestrali, la medicina tradizionale.
Un itinerario fisico, ma soprattutto emotivo, per provare a capire e spiegare cosa sia oggi il “mal d’Africa” per un cittadino europeo.

 

Rassegna stampa

“Un saggio che parte dalla reale esperienza di un lungo viaggio dell’autore in Senegal, zaino in spalla, lontano dai circuiti turistici, esclusivamente sui mezzi di trasporto locali, con cibo africano e sistemazioni spartane. Nel libro si trovano descrizioni minuziose di questo incontro con gli aspetti più complessi e affascinanti di una civiltà ancorata dal punto di vista sociale e culturale alle tradizioni e al senso di solidarietà e amicizia, a quell’ospitalità, la Teranga, che per molti aspetti è lontana dalla cultura europea contemporanea.”
TribeArt

L’Africa può fare bene e può fare male. A volte colorata e variopinta come le stoffe dei vestiti delle donne, a volte monocroma e malinconica come i tramonti nel deserto. E prima di tutto c’è il viaggio e la memoria, che costituiscono il diario di Peppe Sessa e il suo libro «Una leonessa in Senegal». I taxi brousse, piccoli minibus di trasporto molto comuni, raccolgono turisti e viaggiatori di ogni genere, che si portano dietro i pochi averi e conservano nelle tasche i desideri e la speranza di un futuro migliore. È il Senegal che ruota attorno a questo affascinante resoconto di viaggio, paese di percussioni e danze ancestrali, cornice incantevole e selvaggia di baobab giganteschi e sacri che segnano la via e scandiscono l’universalità del tempo. Il Senegal di Edith, la mangiatrice di anime in cerca di fortuna, dei bambini che rovistano nei mucchi di immondizia, di mendicanti e storpi ai bordi della strada, che violentemente e senza preavviso ti sbattono in faccia uno dei volti più duri dell’Africa. La tradizione è nelle vie polverose dei mercati e nei banchi di frutta e manufatti, nelle reti da pesca di St-Louis e nel tè notturno, sorseggiato per ore e ad ogni tazza sempre più dolce. È un libro che racconta l’ospitalità e la quotidianità dei Teranga, quella dei paesi con le capanne fatte di fango e lamiere, quella in cui lavorare significa aiutare il vicino e in cui un sorriso non si nega mai a nessuno. Un richiamo alle origini della vita stessa, per certi versi animale, per altri profondamente umana, che si mescola a magia e mistero, alla bellezza della pelle scura delle ragazze sulla riva del fiume, ai denti bianchi dei bambini che trasportano preziosi carichi di latte appena munto. Islam e Cristianesimo si intrecciano, l’eleganza austera della leonessa resta impressa come una fotografia indelebile. Il «Male d’Africa» si fa sentire, troppo presto, prima ancora di lasciare quei paesaggi selvaggi che scorrono veloci «attraverso un finestrino troppo piccolo per accogliere quello che gli occhi vorrebbero catturare».
Valentina Castellano Chiodo – La Sicilia

Il filo conduttore del libro “Una leonessa in Senegal”, scritto dall’ingegnere catanese Giuseppe Sessa, è costituito dal racconto dei viaggi che, tra il 2003 e il 2005, hanno portato l’autore a visitare uno dei paesi più selvaggi e suggestivi dell’Africa Nera. Zaino in spalla, spesso lontano dai circuiti turistici, esclusivamente sui mezzi di trasporto locali, cibo africano e sistemazioni spesso spartane, Giuseppe Sessa ha percorso i centri principali e le regioni più remote del Senegal, spingendosi verso Nord nel Ferlo, all’interno e a Est fino ai confini con il Mali e la Guinea, e a Sud girovagando per la Casamance, bellissima e selvaggia, ma teatro di una guerra civile. Di ritorno da quelle regioni che tanto lo hanno affascinato, Sessa ha deciso di raccontare il suo itinerario fisico, ma soprattutto emotivo.
Ma perché proprio il Senegal?
«Ho sempre amato viaggiare e nel corso degli anni ho visitato molti paesi al di fuori dell’Europa. Ho scelto il Senegal perché è abbastanza lontano dai circuiti del turismo di massa e quindi conserva ancora il suo aspetto genuino e selvaggio. Ma, se da un lato questo elemento contribuisce ad accrescere il fascino del Paese, dall’altro lo rende poco predisposto ad accogliere turisti e visitatori, per la quasi totale assenza di strutture».
Nel libro descrivi villaggi rurali, distese di baobab, la foresta rigogliosa, il mare, ma la ragione più intima del viaggio è rappresentata dall’incontro, dal bisogno di familiarizzare con le persone, di conoscerne le passioni, gli ideali e le abitudini. Cosa ti ha colpito di più del popolo senegalese?
«Nel corso dei miei viaggi ho potuto vivere a stretto contatto con le popolazioni africane e ho avuto modo di apprezzarne l’ospitalità e la generosità. I senegalesi possiedono uno spiccato senso della solidarietà e dell’amicizia e dimostrano grande apertura e curiosità per tutto ciò che è nuovo e che non fa parte della loro cultura. Questa gente mi ha fatto scoprire che esistono modi di vivere e di pensare completamente diversi dai nostri, spesso anche migliori. Un altro aspetto che mi ha colpito è la grande vitalità del popolo senegalese. Spesso i media ci presentano il continente africano come un paese messo in ginocchio da fame e malattie ma, sebbene questi aspetti costituiscano una realtà con cui il visitatore non può fare a meno di scontrarsi, ciò che resta veramente impresso è la forza, l’energia e la vitalità con cui questo popolo vive la propria esistenza. E poi le tradizioni, le aspettative, il concetto di tempo, le realtà animiste e ancestrali, la medicina tradizionale… ».
Ascoltandoti viene voglia di partire…
«È proprio questo l’obiettivo del mio libro. Vorrei trasmettere anche ai miei lettori il desiderio di scoprire e confrontarsi con una cultura tanto diversa da quella occidentale. I momenti più belli dei miei viaggi in Senegal sono stati quelli in cui sono riuscito stabilire dei contatti con la gente del posto; abbiamo parlato e ci siamo scambiati prospettive e punti di vista, scoprendo infine che, pur vivendo a migliaia di chilometri di distanza, non siamo poi così lontani».
UniversitInforma – Mensile di informazione universitaria

“Il baobab è un albero immenso, che in senegalese significa ‘albero di mille anni’ e col suo tronco a volte supera i 25 metri di altezza, dominando dall’alto la vita e filtrando la luce. E’ l’essenza stessa dell’Africa, perché attorno a questo immenso concentrato di forza e pace si riunisce il clan, gli anziani raccontano le loro storie di spiriti e di avventura, vi affidano le preghiere, e così da millenni il ritmo dell’Africa pulsante si riappacifica con la madre terra, rendendole grazie. E’ partito proprio da questo simbolo il viaggio suggestivo, ricco di ricordi e scandito da foto significative, che l’ingegnere Peppe Sessa ha illustrato al cortile Capuana. Un racconto che Sessa ha condiviso con la moglie, Graziella, autrice delle foto, e con l’esperienza di un’altra viaggiatrice innamorata dell’Africa, che l’ha visitata nel ’95, Daniela Villari.
[…] Sensazioni che un viaggiatore sensibile ha saputo donare, rispondendo anche alle curiosità di quanti hanno voluto ‘condire la zuppa’ del dialogo, apportando un po’ del proprio ‘sale’ all’incontro. Un viaggio fuori dalle mete tradizionali, spesso alla ricerca del safari o della spiaggia incantata, nato «dall’esigenza di conoscere da vicino un luogo, come fosse una persona di cui hai sentito tanto parlare» e concluso con «una nuova amicizia, di quelle che non potrai interrompere mai. Perché – sorride l’ingegnere viaggiatore – ora io so che c’è il Senegal e il Senegal sa che ci sono io».”
Samantha Viva – La Sicilia

”[…] Il libro, denso di approfondimenti e stimolanti riflessioni sulla realtà africana, si sviluppa attraverso gli incontri con queste genti o la visita di luoghi significativi per la memoria e la storia dei senegalesi, molti dei quali sono ormai di casa anche in Italia. Un itinerario fisico, ma soprattutto emotivo, che spinge l’autore a provare a spiegare cosa sia il mal d’Africa per un cittadino occidentale.”
Zoom Sicilia

”[…] Un libro per chi si appresta a partire o vorrebbe sapere di più del paese da cui provengono molti migranti. […]”
Carta

L’elegante felina, altera e fiera, «maestosa nella sua postura più bella, semisdraiata e attenta ai suoi cuccioli che un giorno saranno re della foresta», è solo un’immagine inattesa sbucata dalla foresta e lesta a farvisi reinghiottire. Una fugace apparizione che si merita il titolo di un libro, pure occupandovi lo spazio di un flash (16 righe), così come s’è proposta sulla via da Kédougou a Tambacounda.
Una leonessa in Senegal è infatti il titolo scelto da Peppe Sessa per il suo racconto di viaggio in quel paese affacciato sull’Atlantico, piccolo rispetto alle usuali dimensioni degli stati africani, ma vario abbastanza per contenere tutti gli umori e i colori d’Africa, inserito nella grande regione chiamata Sahel, ai confini di un Sahara che si fa sempre più prepotente e schiacciante. Viaggio con bagaglio leggero e su «pesanti » mezzi di trasporto locali, su strade polverose e con ritmi imprevedibili, che sono il prezzo da pagare per evadere dalle prisones touristiques. Dunque un prezzo accettabile, tanto più che dà diritto a «benefit» altrimenti inaccessibili, primi fra tutti gli incontri ravvicinati con «gli altri» e col loro mondo, visto senza il filtro deformante degli stereotipi, pur con la consapevolezza che in Africa avere la pelle bianca già di per sé significa essere in possesso di quello che Kapuscinski ha chiamato «certificato di esclusione». L’immagine della leonessa non è un pretesto sensazionalistico. Ha una valenza simbolica, invece. «Il Senegal – constata Sessa – non ha conosciuto le guerre civili postcoloniali, né la sanguinante opulenza dei signori della guerra, dei diamanti o del petrolio. La sua fortuna è stata proprio l’assenza di ricchezze naturali, cosicché non si è reso appetibile alla razzia devastatrice dei ricchi del mondo. In quel cantuccio, il Senegal ha conservato la sua natura fiera e selvaggia, le sue tradizioni, pur nello sforzo di modernizzazione in atto». Ed è in quella natura conservata che il narratore si immerge. Ed è per induzione, partendo dalle immagini e dalle voci che coglie, che costruisce l’intero contesto fatto di guerre (che da noi si chiamavano «di civilizzazione » e da loro «di liberazione»), di rivolte, di raccolta di schiavi, di credenze e rituali sopravvissuti a ogni conversione coatta. È un piccolo paese, il Senegal, ma a percorrerlo per intero, dai centri principali alle regioni più remote, da nord a sud, a zig zag per l’interno tra villaggi rurali, fiumi, foreste, distese di baobab e di catapecchie di fango e lamiera, sembra enorme. L’agghiacciante Dakar e il fascino decadente di St-Luis. Thiès, la ville rebelle, che «ricorda una cittadina spaghetti-western», e la Casamance, sfrontatamente selvaggia e teatro di guerra civile. Suggestioni felliniane e allucinazioni da Apocalypse, now, enclave turistiche e spiagge da condividere solo con gli zebù. Per finire inevitabilmente invischiati in quell’inestricabile mistero per convenzione chiamato «mal d’Africa».
Roberto Duiz – Alias – Il Manifesto

”[…] A colpire lo scrittore una filosofia di vita genuina e schietta, che privilegia il rapporto umano innanzitutto, su cui si fonda tutto il resto, relazioni economiche comprese. Sullo sfondo delle atmosfere africane un tempo che pare scorrere secondo un ritmo più divino che umano, non ancora imbrigliato dai vincoli della globalizzazione e dell’effimero. […]”
Santina Giannone – La Sicilia