A cura di Claudio Salone
In lui si ritrova fin dalle sue prime prove letterarie la predilezione per il genere fantastico di un E. T. A. Hoffmann, mescolato a elementi romantici ed esperienze occultistiche. I risultati sono quelli di una prosa fortemente coloristica, con evidenti tratti espressionisti.
Appassionato cultore di yoga, convertitosi al buddismo “mahayana” in tarda età, considera la realtà fattuale come apparenza, che copre una verità più profonda, “abissale”, che va esplorata senza le ansie generate da “vane speranze e attese di felicità e di gioia”. Come nei romanzi più importanti di Gustav Meyrink, in questa sua raccolta ci imbattiamo in anime perdute, spiriti folli, entità e persone incorporee, che abitano il mondo solo come meri involucri senza vita. Anche qui i temi ricorrenti sono l’amore, insaziabile e di dimensioni cosmiche, la passione e la fede, il mescolarsi di bene e di male. In più, in questi brevi racconti emerge un evidente talento umoristico, sottolineato dagli inserti dialettali (peraltro intraducibili) dal sapore grottesco e con punte di sorprendente sarcasmo, nonché la drammatica temperie della Grande Guerra, letta qui sullo sfondo fosco di un’umanità destinata ad autodistruggersi.