“Su tutta la vita di Vasilij Fivejskij gravò un destino severo e misterioso. Come maledetto da un’oscura maledizione, egli dalla giovinezza portava il fardello gravoso della tristezza, delle malattie e del dolore, non si rimarginavano mai nel suo cuore le ferite sanguinanti. Tra la gente era solo, come un pianeta tra i pianeti, e sembrava che un’aria speciale, perniciosa e avvelenata, lo avvolgesse, come un’invisibile nuvola trasparente.”
Leonid Andreev (1871-1919) può essere considerato uno dei maggiori scrittori russi del Novecento, sensibile interprete della crisi spirituale che attraversa la Russia e l’Europa tra i due secoli. Nei suoi libri rivela un acuto spirito di osservazione e capacità di penetrazione psicologica. Sa percepire il passaggio tra il vecchio mondo, che ha esaurito i propri valori, e il nuovo, ancora oscuro e confuso.
“La vita di Vasilij Fivejskij“ appartiene a un genere letterario tipico della tradizione russa: la povest’, componimento in prosa che occupa una posizione intermedia tra il racconto e il romanzo: la narrazione è incentrata sul protagonista, la personalità e la sorte del quale si svelano in una progressione di episodi. La figura principale, in questo caso, è quella di padre Fivejskij, pope di campagna, attraverso il quale Andreev ci presenta la lacerazione della coscienza religiosa come conseguenza dell’assurda crudeltà della vita umana. Un tema non casuale che l’autore integra con un “pessimismo storico”, lontanissimo da ogni messaggio di speranza: i personaggi andreeviani sono spaventati dalla vita, rannicchiati su se stessi, solitari, estranei e indifferenti a tutto e tutti.
Il “Fivejskij” ha subito attirato l’attenzione dei critici, che l’hanno accolto come l’opera più matura di Andreev.
A cura di Paolo Galvagni