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copertina

Io di più non posso darti

Autore: Jacqueline Spaccini
Pubblicato nel 2016
Pagine 120
ISBN 9788867407101

 

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Il Libro

«Nessuno mi ha avvertita
che non ero più fanciulla
che quei segni di riso attorno agli occhi
erano la carne che pesa
nell’altrui sguardo»

A tredici anni, quando si cominciano a scrivere poesie che perlopiù resteranno gelosamente accudite in un cassetto per anni e anni prima di scomparire in qualche cartone, non lo si fa per essere letti, bensì per leggersi. Si scrive per esistere e resistere, per sopravvivere, per fermare l’attimo, per prendere la temperatura alla propria anima, per urlare quel grido che resta soffocato in gola. Chi continua a scrivere nella vita, quasi quotidianamente, rischia di banalizzarsi, a rischio di non vivere la vera vita. Ma ciò non può essere vero per una donna che è ancorata nella realtà, chiamata a molteplici funzioni, troppo impegnata ad agire per dimenticare di vivere. È pur vero che rischia di dimenticarsi di sé. Quando si scrive ancora dopo quarantacinque anni da quella prima volta, la poesia non è più un alibi davanti all’esistenza, né oasi innocente di un’anima calpestata: a quel punto, la poesia è diventata una sorta di ostentata scheda segnaletica della persona. Autoaffermazione non compiaciuta, bensì consapevole di sé. E si tramuta in amoroso dialogo con i lettori. Quando poi si ha la fortuna di interpretare le proprie parole davanti a un pubblico, su un palco, senza testo sotto agli occhi, mettendo in scena voce corpo e anima di sé, la poesia diventa una sorta di streep-tease alla rovescia. Infatti, quando esprime un suo testo, il poeta si sta rivestendo; l’atto impudico è avvenuto durante la scrittura, ma ancora, ascoltando (leggendo) quelle parole, lo spettatore (il lettore) può scorgere un pizzo, l’orlo di una sottoveste, la bretella del reggiseno. Lo scopo resta d’altronde uno solo: raccontando sé stessi, raccontare il mondo in una osmosi di emozioni.